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      E dire che sono 15 anni, fra Caledonia e Italia, che lotto contro lo spietato sistema dei pretesi domatori d'uomini. A quale prezzo lotto! Se ho salvato il carattere e l'onore, questo grazie agli amici, ho però perduto la salute, la gioventù, la forza, l'intelligenza! Nella battaglia per l'esistenza della forza morale si lasciano tanti brandelli di vita. Sono cinque e più anni che il governo mi tiene sepolto vivo in celle fetide, orride, anguste, malsane, segregato da tutti, senza una parola di conforto. Le mie carni impregnate di umidità marciscono sulle ossa. Lo scorbuto mi guasta il sangue, l'anemia mi spegne lentamente, la noia mi rende i giorni più eterni. Se mangio una cucchiaiata di riso soffro i dolori dell'indigestione per dieci ore; se non mangio soffro quelli della fame. Ho perduto il sonno. Se m'addormento mi sveglio spossato, più stanco che se avessi dormito. Lo spazio della stanza di cinque passi in lungo di 50 centimetri è troppo esiguo, mi dà i capogiri. Mi mareggia il suolo sotto i piedi. Io che ho fatto il viaggio di circomnavigazione intorno la terra senza sapere cosa fosse il mal di mare, lo soffro in questa celletta. Se mi arrischio a sforzare l'andatura che è suppergiù di 26 centimetri, al secondo cado sfinito, balzo ansante, coperto di sudori freddi. E non ho altro modo per vivere. Non c'è che il moto che mi possa tenere in piedi. Passeggio dalle 7 alle 11 - ora della puzzolente jozza - fermandomi di tanto in tanto a respirare e a riposare. Mangio con disgusto, sbadatamente, automaticamente e ricomincio il moto monotono, solitario, regolare e cadenzato come il pendolo d'un'orologio, fino a mezzogiorno, non interrotto che dal triste rumore della mia catena.


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L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





Caledonia Italia