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      Non è stato contento. Un giorno mentre scontavo i miei quindici giorni e mangiavo a bocconi il mio pane, acido e nero, è uscito dalla pagnotta questo biglietto:
     
      Caro Cipriani,
      Non credere che t'abbiamo abbandonato. Gli amici di Livorno, lavorano con quelli di Rimini. L'amico Tito Z.... è stato arrestato a Torino. Qui accluso troverai un pezzetto di carta bianca ed un lapis acciocchè ci faccia pervenire la risposta per la via che tu sai e dirai come dobbiamo fare per venirti a prendere.
      Questa sera parte un amico fidato da Portolongone sopra una barca per Livorno.
      Coraggio.
      Tuo E. M.
     
      Non ebbi bisogno di una grande accortezza per accorgermi che lo sgorbio doveva essere il lavoro di un ignorante tutt'altro che amico e socialista. Si voleva liberarmi dalla galera e dovevo essere io, sepolto vivo, a dire loro come. La via che sapevo era abbastanza per mettermi in guardia. Lacerai il bigliettino e lasciai il pezzo di matita nel pane. Alla mattina il sospetto divenne maggiore. Il capo-guardia è venuto alla mattina prima della solita ora per una perquisizione straordinaria. Si scalcinarono i muri, si è abbattuto il telaio della finestra, messo sottosopra il pavimento, rovesciati gli abiti, il materasso. Tutto. Egli aveva trovato il lapis e continuava a frugare senza dire che cosa cercasse. Mi ha fatto svestire tre volte. Una guardia gli ha suggerito di guardarmi nella parte recondita del corpo. Li per li mi è andato il sangue alla testa e credetti di essere colpito da una congestione cerebrale.


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L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





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