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      La guardia doveva assistere alla mungitura. Davanti alla cella, prima di darmelo, lo faceva versare a goccia a goccia in un altro recipiente e prima di lasciarmelo bere si serviva di un fuscello di granata che aveva servito a spazzare i catarri e a sciacquare i buioli per scuoterlo e frugare in fondo se vi era qualche cosa. Un giorno il mezzo litro di latte non era che acqua di calce e farina. Lo rifiutai. Era quello che si voleva. È d'allora che è incominciato quel lungo e crudele digiuno che doveva durare dal novembre '82 al giugno '84. È il periodo che mi ha rovinata la salute irremisibilmente. Mi negò qualunque nutrimento a mie spese. La mia povera salute deperiva. Non potendo inghiottire la schifosa jozza non mi rimaneva che l'acqua e una crosta di pane nero che mi si dimezzava e si tagliuzzava per la solita paura che vi si trovasse qualche biglietto clandestino. Tutte queste sevizie e queste proibizioni a comperarmi qualche cosa mi avevano ridotto a uno scheletro. Sentendo che venivo meno, dissi al direttore che volevo scrivere al prefetto. Ma il direttore mi disse che non potevo, perchè i bagni penali erano autonomi e i prefetti non c'entravano.
      Mi sentii perduto. Quotidianamente provocato, privo di libri e di notizie, malandato in salute, pensai più di una volta di farla finita. Ripiegato su me stesso, non rispondevo più che con disprezzo, con sarcasmo amaro, mordente. Le lettere della famiglia mi venivano cancellate qua e là o soppresse addirittura perchè contenevano cose che un prigioniero non doveva sapere.


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L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69