Le mie che scrivevo erano tagliate, ridotte, trattenute o protratte, magari di uno o due mesi. Una disperazione. Sevizie sopra sevizie. Udite. Era l'ora del pasto. Cercai del mio pane. Era in briciole per i soliti sospetti. Bussai all'uscio per lamentarmi. È entrato lui. Non mi permise neppure di parlare. Incominciò subito a urlare, a chiamare le guardie.
- Lo voglio fare in mille pezzi, il pane, se mi piace.
- Sono dispetti e provocazioni indegne....
- Mozzi, guardie avanti, presto, portate una grossa maniglia; mettetelo al puntale. Portate fuori tutto, incatenatelo.
E fui incatenato al muro per quindici giorni.
La seconda volta che andai al puntale fu per delle lettere della famiglia che mi ero messo in tasca per impedire a quell'anticristo di Simon di lacerarmele. Ero stato rasato dal solito parrucchiere che veniva in cella ogni settimana. Durante la perquisizione il Simon andò sulle furie, chiamò tutti gli sgherri che mi trattennero, mi violentarono, mi piegarono, mi imprigionarono nelle loro braccia e mi incatenarono. Incatenato il maledetto Simon mi svillaneggiò chiamandomi omicida. Tutto questo avveniva dopo le elezioni di Pesaro, dove io non sono stato eletto per 300 voti contro il prof. Panzacchi.
Sembrava che gli onori che mi tributavano i cittadini lo indispettissero. Eletto a Forlì e a Ravenna egli ebbe l'imprudenza di venire a dirmi:
- Ah! fra poco farò mangiare un po' di pane e acqua al signor deputato.
E ha mantenuto la parola. Io ho avuto il torto di perdere la pazienza e di rintuzzare le sue insolenze con altre insolenze.
| |
Simon Simon Simon Pesaro Forlì Ravenna
|