Par che ogni filosofo abbia per regola di non pensar come un altro: e con ciò suole ingannarsi ciascuno a suo modo. Platone pensò che fralle conoscenze infuse nell'anima nostra, delle quali ci dimentichiamo quando l'anima al corpo si unisce, si trovi l'immagine del bello; e che le imagini esteriori, secondo che si trovano consone o dissonanti dalle interiori, nasca l'inclinazione o l'avversione. Aristotele, il venerabile padre de' Peripatetici, di cui si adora fino l'oscurità, dice che la natura specifica ci porta ad amare il bello in generale, e la natura individua inspira a ciascuno l'amore del tale, o tal bello in particolare. Descartes, che si protesta sempre di seguir la chiarezza e 'l sistema, uomo d'ardito genio e di viva immaginazione, tirando un sistema dalla favola platonica degli Androgini, dice che la natura ci ha fatte nel cervello certe impressioni, onde cerchiamo la nostra metà. Descartes non è piú Descartes, quando parla d'amore. Non tutte le metà ci traggono. Ah, se io fossi unito a questa, dice l'amante, piuttosto la morte, che unirmi a quell'altra! Oltre del desir vago alla nostra metà, vi è in noi un desir determinato alla tal metà, in preferenza dell'altre.
Se io dunque domando a' Platonici, a' Peripatetici, a' Cartesiani, perché il gelsomino mi piace, ed agli altri fiori volentieri l'antepongo, ne avrei differenti risposte, e tutte oscure: siccome i Leibniziani ricorrerebbero alle loro monadi uncinate. I Simpatisti attribuiscono ciò alla natura della materia simpatica, che invisibile da' nostri corpi traspira; e, differente fra gli uomini, siccome gli odori, opera su gli organi de' sensi, e poi nello spirito.
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