Di quei vindici lor DeiGià nomati Apotropei.
Si da lor essi scacciavanoL'atra tabe e 'l fradiciume;
Quei d'Atene anche adoravanoL'Alexiaco lor Nume;
Feano ad Ercol sacrificiDistruttor de' malefici.
(38) Fortunati i Toschi antiqui,
Che avean l'arte, e il magisteroDi sviar per colli obliqui
Lo stridente fulmin fero.
Divenia poi sacro il loco,
U' cadea l'orribil foco.
D'onde Roma il culto appreseDel tremendo Puteale:
Quindi il poggio si sorpreseJettator per te sia tale.
Non vi por mai piè, ma passaPur lontan con fronte bassa.
Vedi Vossio, Etimol., voc. Bidental, e Puteal.
(39) Sulpicia nella satira de' tempi di Domiziano, che con Editto discacciò i Filosofi dalla Città; apud Petr. Burmann: «... Duo sunt quibus extulit ingens / Roma caput, virtus belli, et sapientia pacis». E Virgilio, Ecloga I: «Verum haec tantum alias inter caput extulit urbes, / Quantum lenta solent inter viburna Cypressi». Gravissima testimonianza fa un Editto di Diocleziano e Massimiano, lib. 5, C. Gregor., tit. de Nupt.: «Nihil, nisi sanctum, ac venerabile nostra jura custodiunt: et ita ad tantam magnitudinem Romana majestas, cunctorum Numinum favore, pervenit: quoniam omnes suas leges religione sapienti pudorisque observatione devinxit».
(40) Furono queste leggi due, come rileviamo da Plinio, XXVIII 2, non già una.
(41) Carmen, quasi canimen, da cano. A queste incantazioni piene di superstizione, e di malizia, gli antichi attribuirono forza meravigliosa. Virgilio, eclog. 8. S'intende però carme malefico, non già buono, che giova.
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