IV scrive: «Romae inventus est Regulus, qui solo habitu venenoque multos mortales perimeret»;
I quadrupedi ancor hannoLor maligni jettatori.
Qual non recan strage, e dannoVolpi, lupi insidiatori?
E la donnola voraceE 'l fier istrice minace?
Jettatrice anch'è la biscia,
Onde al fiato il basiliscoL'erbe adugge, per cui striscia,
E le serpi fuga al fischio.
Quindi è simbolo dell'empioFascin rio, che in noi fa scempio.
(149) Non insidia il rospo sozzoE cogli aliti a sé tira
L'usignuol, che nel rio gozzoVa a cadergli, appena il mira?
Salta, vola, fugge intorno,
Ma al nemico fa ritorno.
Le civette allor che stridanoE quei tanto infausti gufi,
Che al tuo albergo intorno annidanoTra gli oculti e rosi tufi,
Da te mai soffrir si ponno?
Non ti rubano anche il sonno?
Sai la nottola molesta,
Sai la strige e la cornacchia,
Sai del corvo la funestaJettatura quando gracchia?
Sai già il nibbio, e l'avoltoio;
E 'l falcon rapace e croio?
(150) Morgan 14 66; Jonstono.
(151) Arist. IX, c. 3: «Torpedo piscis, quam appetit, afficit ea ipsa, quam in suo corpore continet facultate torpendi, atque ita retardata animantia prae stupore capit, iisque vescitur».
(152) Appiano, ed il P. Giannattasio nella sua Alieutica, lib. 5.
(153) Degl'insetti:
Quanto mai l'estive sereNon angosciano le zenzale?
S'una passa il zanzaniere,
E ronzando batte l'ale,
Basta a farti in mezzo all'ireBestemmiar piú d'un Visire.
Le cicale, che di stateAl Sol cantan con gran lena,
Non assordan le brigate?
Ma alfin scoppian per la schiena.
Deh cosí crepasser anco
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