) del giovane coppiere amato: poesie nelle quali (proprio come vedeva il Rossetti nella poesia dei «Fedeli d'Amore» italiani) si fingeva di parlare della donna e si parlava della Sapienza o di Dio con termini convenzionali secondo i quali la bocca, i capelli, il sorriso, il neo della donna avevano un preciso significato mistico iniziatico(14) e si parlava così perché la plebe della «gente grossa» non intendesse e forse perché non intendesse la gelosa ortodossia musulmana che, come la cristiana, sebbene meno ferocemente, era avversa a quel misticismo che tendeva a rimettere l'uomo direttamente nel cospetto e nel contatto di Dio.
Il Rossetti aveva già avuto qualche sentore di questo fatto(15), non solo, ma aveva portato molti argomenti a dimostrare che l'uso di velare sotto le formule convenzionali dell'amore idee mistiche e iniziatiche era venuto appunto dalla Persia attraverso i Manichei, i Catari (Albigesi) e attraverso i Templari, che ritroveremo molto legati a tutto questo movimento; e che tale uso era passato dai Provenzali ai poeti Siciliani (Federico II, Pier delle Vigne, Jacopo da Lentini) e da questi ai Bolognesi (Guinizelli) e ai Toscani (Cavalcanti, Dante, Cino, ecc.).
Si aveva in tal modo non solo la conoscenza di un fatto perfettamente analogo a quello rivelato dal Rossetti, che acquistava così una molto maggiore verosimiglianza, ma la poesia mistica pseudo amorosa della Persia e la poesia pseudo amorosa dell'Italia, veni-vano anche storicamente legate tra loro. La mistica «Rosa», mèta di tanti sogni e sospiri e appassionati aneliti nella poesia persiana (ove l'usignolo, simbolo dell'anima, anela nel suo amore alla mistica Rosa) e mèta di simbolici viaggi fino nel tardo romanzo indostanico La rosa di Bakavali, appariva assai somigliante a quella «Rosa» che è l'unica donna cantata nella primitiva poesia italiana, la mèta dell'amore nel Romanzo della Rosa e nel Fiore, come è la mèta del viaggio sacro di Dante, il quale soltanto in forma di una «Rosa», troverà manifestato «il tempio del suo voto».
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