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      Giovanni Boccaccio (uno di questi «Fedeli d'Amore»), alla fine della terza giornata del Decamerone, racconta che Lauretta cantò questa canzone:
      Niuna sconsolatada dolersi ha quant'io
      ché 'n van sospiro, lassa! innamorata.
      Colui che muove il cielo et ogni stella,
      mi fece a suo dilettovaga, leggiadra, graziosa e bella.
      Per dar qua giù ad ogn'altro intellettoalcun segno di quella
      biltà, che sempre a lui sta nel cospettoet il mortal difetto,
      come mal conosciuta,
      non mi gradisce, anzi m'ha dispregiata.
      Già fu chi m'ebbe cara, e volentierigiovinetta mi prese
      nelle sue braccia, e dentro a' suoi pensierie de' vaghi occhi miei s'accese.
      E 'l tempo, che leggierisen vola, tutto in vagheggiarmi spese:
      et io, come cortese,
      di me il feci degno;
      ma or ne son, dolente a me! privata.
      Femmisi innanzi poi presuntuosoun giovinetto fiero,
      sé nobil reputando e valoroso.
      E presa tienmi, e con falso pensierodivenuto è geloso;
      laond'io, lassa! quasi mi dispero,
      cognoscendo per vero,
      per ben di molti al mondovenuta, da uno essere occupata.
      Io maledico la mia isventura,
      quando per mutar vesta,
      sì, dissi mai; sì bella nella oscurami vidi già e lieta, dove in questa
      io meno vita dura,
      vie men che prima reputata onesta.
      O dolorosa festa,
      morta foss'io avanti,
      che io t'avessi in tal caso provata.
      O caro amante, del qual prima fuipiù che altra contenta,
      che or nel ciel se' davanti a coluiche ne creò, deh pietoso diventa
      di me, che per altruite obliar non posso: fa ch'io senta
      che quella fiamma spentanon sia, che per me t'arse,
      e costà su m'impetra la tornata.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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