Basterebbe questo esempio per dimostrare a chiunque abbia un poco di intelletto che tra i poeti del «dolce stil novo» il gergo segreto esisteva, non solo, ma che costoro avevano anche qualche ragione e abbastanza seria e abbastanza grave per comunicare così tra loro in rapporto ai propri movimenti, alle proprie intenzioni e alle proprie vicende. Questo Cino che scrive così non è uno sciocco che potesse perder tempo a scrivere in gergo come potrebbero fare dei ragazzi; è un dotto e grave maestro che ha insegnato in tutti i maggiori Studi d'Italia. I suoi compagni, con i quali scambia sonetti di questo genere, sono uomini come Dante Alighieri, come Guido Cavalcanti o Cecco d'Ascoli. È assolutamente non serio il pensare che tutti costoro facessero «la burla» di scrivere esponendo idee involutissime e comprensibili soltanto ad alcuni e comunicando in un gergo convenzionale che non avrebbe dovuto nascondere nulla di importante.
E questo convenzionalismo, questo indiscutibile doppio senso investe in pieno anche poesie nelle quali si parla della «donna mia», come per esempio quella famosa di Guido Cavalcanti che comincia: Veggio ne gli occhi de la donna mia. A questa donna «sua» accade infatti qualche cosa che davvero non è mai accaduto alle donne «nostre», cioè che dalle sue labbia (dal suo aspetto o dalle sue labbra che sia) ne nasce un'altra e poi un'altra e da quest'ultima una stella che annunzia la salute! L'intonazione, lo spunto iniziale di questa poesia è proprio nel comunissimo tono di quella che si pretende sia vera poesia d'amore per donne di carne e ossa e scorre con una dolcissima armonia:
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