Veggio ne gli occhi de la donna miaun lume pien di spiriti d'amore
che porta uno piacer novo nel coresì, che vi desta d'allegrezza vita;
e dopo quel principio di lirica pura si ha questo curiosissimo fenomeno di produzione ectoplasmatica che segue:
Cosa m'avien quand'i' le son presentech'i' no la posso a lo 'ntelletto dire:
veder mi par da la sua labbia uscireuna sì bella donna, che la mente
comprender no la può; che 'nmantenentene nasce un'altra di bellezza nova
da la qual par ch'una stella si movae dica: La salute tua è apparita...(24)
In questa poesia il Cavalcanti parla della «donna mia» e mi pare che non ci sia nessun dubbio che qui non si tratta di una donna di carne e di ossa. Ciò vuol dire a buon conto che i nostri avversari, che interpretano realisticamente la poesia del dolce stil novo, non possono negare che qualche volta questi poeti parlavano in un linguaggio convenzionale, nel quale la donna non era niente affatto una donna. Chi volesse negare in modo assoluto l'esistenza di un linguaggio convenzionale nella poesia di questi dicitori per rima, direbbe una evidentissima e grossolana sciocchezza.
La loro tesi per essere seria e degna di considerazione deve limitarsi ad affermare che questi poeti scrivevano due diverse specie di poesie, le une in un linguaggio convenzionale ove dicendo «la donna mia» non si intendeva parlare di una donna, e altre invece in un linguaggio aperto come espressione limpida e diretta del loro amore per una femmina.
Ma con questo si è già fatto un passo notevole.
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Cavalcanti
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