Ma guardiamo un poco insomma chi sono i poeti d'amore italiani più caratteristici. Eccoli:
Federico II, Imperatore ghibellinissimo.
Manfredi, suo ghibellinissimo figlio.
Pier delle Vigne, suo Cancelliere, nemicissimo della Chiesa di Roma.
Jacopo da Lentini, notaio dell'Imperatore ghibellinissimo.
Guido Guinizelli, notissimo ghibellino.
Guido Cavalcanti, in fama di eretico presso i suoi contemporanei.
Dante Alighieri, le cui ossa furono ricercate dopo morto per essere bruciate sotto imputazione di eresia.
Cino da Pistoia, nemico della Chiesa e partigiano fierissimo dell'Impero.
Francesco da Barberino, soldato di Arrigo VII.
Cecco d'Ascoli, che scrive a Dante: «A me la tua parola stretta legola» e che finisce bruciato vivo come eretico sei anni dopo la morte del Poeta.
Ma la critica «positiva», così attenta nell'analisi dei particolari, così incapace di cogliere lo spirito nascosto e volutamente occultato di un canto, risponderà che tutto questo è un caso e che è pure un caso che la poesia d'amore si ricolleghi a certe tradizioni come quella del Roman de la Rose tradotto nel Fiore di Messer Durante, nel quale la donna è già impersonale, il simbolismo domina tutto l'ambiente e l'odio contro la Chiesa corrotta e lo spirito ereticale circolano liberamente per tutto il poema, e che è anche un caso che la poesia d'amore a tipo mistico trovi poi le sue note sulla bocca di due terribili e implacabili odiatori della Chiesa corrotta: Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca.
Sono questi «Fedeli d'Amore» uomini che, almeno in certi tempi e in certi gruppi, hanno un'abbastanza netta fisionomia se non politica, religiosa.
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