In fra gli altri difetti del libello,
che mostra Dante, Signor d'ogni rima,
son duoi sì grandi, che a dritto s'estimache n'aggia l'alma sua luogo men bello.
L'un è; che, ragionando con Sordello
e con molt'altri della dotta scrima,
non fe' motto ad Onesto di Boncima
ch'era presso ad Arnaldo Daniello.
L'altr'è; secondo che 'l suo canto dice,
che passò poi nel bel coro divinolà dove vide la sua Beatrice.
E quando ad Abraam guardò nel sinonon riconobbe l'unica fenice
che con Sion congiunse l'Appennino(68).
Chiunque abbia l'udito semplicemente normale sente subito nell'ira di questo sonetto lo spirito del settario dissidente o avverso a un settario dissidente. Ognuno comprende come il non aver nominato Onesto da Boncima non poteva essere ascritto a colpa grave (da dannare Dante!) a meno che l'autore del sonetto non avesse voluto rivendicare contro il meditato silenzio di Dante il valore di un poeta che aveva avuta molta importanza nella setta e che, come appare limpidamente dalle sue poesie contro Amore, era stato un dissidente feroce. Ma l'altra colpa di Dante è veramente interessantissima. Dante ha visto sì la «sua Beatrice», ma non ha riconosciuto in lei «l'unica fenice che con Sion congiunse l'Appennino». Che cosa significa ciò? O ingenuità veramente mirabile di chi scivola sopra questo indovinello dicendo semplicemente che questa tale fenice era Selvaggia, la donna di Cino! Ma il poeta non accusa Dante di non aver visto un'altra donna, ma di non aver riconosciuto la fenice. E perché Selvaggia sarebbe stata «l'unica fenice che con Sion congiunse l'Appennino?
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