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In verità, chiunque sia, questo poeta ha voluto rimproverare a Dante di aver esaltato la sua Beatrice, cioè la Sapienza santa come la concepiva lui e secondo la sua dottrina, senza riconoscere che questa Sapienza santa era quell'unica Sapienza di tutti gli adepti (compreso Onesto Bolognese, compresi gli innumerevoli consettari di varie sfumature), «l'unica fenice», la verità santa, eternamente risorgente dalle ceneri delle persecuzioni e dei roghi, «l'unica fenice che con Sion congiunse l'Appennino», che cioè riportò l'Italia (l'Appennino) a Sion (Gerusalemme), al vero culto della fede di Cristo attraverso le corruzioni della Chiesa carnale!
In questa terzina preziosissima erompe disordinatamente la rivelazione di tutto quel sotterraneo mondo di accordi, di contese, di ire, di passione religiosa e settaria che si agita sotto la ingannevole scorza di tante fredde e insulse chiacchiere d'amore!
Unica questa donna, unica questa fenice, questa Rosa, questo Fiore: la Sapienza santa mistica e iniziatica, che differisce soltanto nel nome perché è la dottrina ora di questo ora di quel poeta, che muore talvolta, spesso anzi, sotto un determinato nome, ma che risorge e rivive di continuo, unica fenice, attesa e speranza di rinnovamento, gioia dell'intelletto che attraverso ogni dolore e attraverso ogni prova riconduce a Cristo e a Dio. La fenice che «al mondo muore per la gente grifagna, oscura e ceca», come dirà Cecco d'Ascoli, e che simboleggia l'eterna verità unica e indistruttibile.
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