che il sacerdote solleva ed entra.
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La sua stanza nuziale è luminosae del profumo della liberazione ripiena.
Incenso è posto nel suo mezzo
(consistente in) Amore e Fede
e Speranza e fa tutto odorante.
Dentro è la Verità in essa sparsale sue porte sono adorne di veracità.
I suoi paraninfi la circondano,
tutti quelli che essa ha invitato;
e le sue vergini compagne (con loro)
cantano innanzi a lei la lode(104).
E così continua con altre immagini del genere concludendo che i viventi stanno a guardare se il suo sposo venga per entrare nel gaudio eterno, perché essi «han bevuto dell'acqua vivente che non li fa languire e aver sete» e conclude: «Rendete grazie allo spirito per la sua Sapienza».
Il mito di Sofia (la Sapienza personificata) era, come è noto, il centro della cosmogonia nella dottrina dei Valentiniani. Essa era una specie di anima del mondo, mediatrice tra la parte superiore e la parte inferiore di esso e (proprio come l'Intelligenza attiva) proiettava nel cosmo i tipi e le idee del Pleroma(105). Secondo Ippolito essa aveva commesso la colpa di voler imitare il Padre nel suo creare e da questa sua colpa era derivata la creazione del mondo imperfetta. Cristo fu creato appunto per redimerla e con la redenzione di lei sanare questo infelice mondo da lei prodotto.
Nella Pistis Sofia essa appare come il tredicesimo Eone che, per ordine del Primo Mistero, fissò lo sguardo nell'altezza e desiderò oltre le sue forze, di ascendere, onde la sua caduta, la sua sofferenza, il suo pentimento, la sua nostalgia della luce già veduta, che dura in essa in questo esilio, la sua purificazione, la sua redenzione trionfale, che finisce col fatto che essa schiaccia ai suoi piedi il basilisco dalle sette teste.
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