Il vaso destinato a portare la Sapienza santa, la santa Rivelazione, era diventato ricettacolo di corruzione, era stato rotto dal demonio («Il vaso che il serpente ruppe», dirà Dante nell'ultimo canto del Purgatorio). Ebbene, si è forse per questo distrutta la santa divina Sapienza? Forse che per questo è negato a tutti e per sempre di conoscerla, di amarla, di ricercarla con purezza di cuore e con ardore di spirito? No, rispondeva la coscienza religiosa degli uomini. Ed ecco che anime nobili e ferventi di spirito religioso la ricercano sotto il velo di simboli, le dànno il nome di «Rosa» o di «Fiore», continuano a darle il nome, la figura di una donna amata. Circondati dalla diffidenza della Chiesa, alla quale essi nel loro intimo non riconoscono per ora la dignità di parlare in nome di quella Sapienza santa che essi amano, dànno ad essa un nome diverso per ciascun fedele e ne parlano tra la «gente grossa» e sotto gli occhi degli inquisitori come di una donna amata.
Essi conciliano così la loro fede nella santa Rivelazione cattolica con la certezza che la Chiesa carnale corrotta non parla più ora in nome di quella santa Rivelazione di quella divina Sapienza e, come ho già detto, sotto il velo dello strano simbolismo d'amore, si appellano all'incorruttibile Sapienza della Chiesa contro la Chiesa stessa che si è corrotta, contro la Chiesa carnale che, affannata dietro i beni mondani, è fatta ormai dimentica di lei e che anzi la nasconde o la perseguita nella parola dei dissidenti, che si sentono i veri seguaci, i veri fedeli della Sapienza santa.
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