Finché Beatrice (Rachele) è viva, essa è Sapienza, sì, ma si chiama soltanto «Spes aeternae contemplationis», e si può avere il presentimento che ella salirà al cielo, presentimento lungamente descritto nella Vita Nuova («Madonna è disiata in sommo cielo»), ma la sua morte segna il suo perfezionarsi, segna il conseguimento di un alto grado di mistica intuizione da parte dell'amante di Beatrice, un alto grado di mistica intuizione segnato, chi sa (?), forse anche da un vero excessus mentis, da una forma di estasi nella quale Dante non parla della Vita Nuova per «non essere laudatore di se medesimo», ma che viene a riaffermare nella lettera a Can Grande, contro gli invidi che irridevano al suo trascendere intellettuale nella visione delle cose eterne.
Questa scoperta d'importanza fondamentale, la scoperta cioè del significato mistico che ha la morte di Rachele come rappresentazione dell'excessus mentis e il suo rapporto con la morte di quella Rachele di Dante che si chiama Beatrice, è dovuta, come ho detto, al Perez e fu accettata e convalidata di qualche nuova aggiunta del Pascoli(126). Ma all'intuizione di questi nobilissimi ingegni io mi compiaccio di poter aggiungere oggi una limpidissima riprova da essi ignorata.
Qualcuno potrebbe ancora restare in dubbio che nella poesia d'amore del tempo di Dante sia stata trasferita, collegandola con l'amore per la donna, questa idea dell'excessus mentis come grado ultimo dell'amore, cioè uscita della mente da se stessa nella contemplazione e quindi morte della Sapienza che diventa atto della contemplazione pura?
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