sospiro e piango per te ritrovare;
e, ritornando, il cor si va stendendo,
che in te si possa tutto trasformare.
Donna più non tardare;
Amor, or mi sovveni,
legato sì mi tieni,
consumami lo core.
Risguarda, dolce Amor, la pena mia,
tanto calore non posso soffrire:
L'amor m'ha preso; non so o' io mi sia;
che faccia o dica non posso sentire;
como stordito, sì vo per la via;
spesso trangoscio per forte languire;
non so com' sostenirepossa tale tormento,
lo qual con passamentoda me fora lo core.
. . . . . . . . . . . .
Sappi parlare, ed or son fatto muto;
vedeva, e mo son cieco diventato:
sì grande abisso non fu mai veduto:
tacendo, parlo; fuggo, e son legato;
scendendo, salgo; tengo, e son tenuto;
di for, son dentro; caccio, e son cacciato.
Amore smisurato,
perché mi fai 'mpazzire,
e in fornace moriredi sì forte calore(162).
Potrei empire pagine e pagine di simili strofe, ma bastano queste per dimostrare non solo che anche in Italia, e proprio mentre Dante scriveva la «Vita Nuova», l'Amore religioso usava espressioni perfettamente identiche a quelle dell'amore per la donna, ma che è nel fatto difficilissimo distinguere, in base alla semplice lettura, il tono dell'amore mistico dal tono dell'amore per la donna.
Se io facessi leggere questi versi a uno che non conoscesse affatto la nostra poesia e gli facessi leggere insieme dei versi della Vita Nuova scritti per Beatrice e gli dicessi che di questi due poeti l'uno canta per una donna e l'altro per un'idea religiosa, egli certamente direbbe che questi di Jacopone parlano di passione vera e quelli di Dante sono mistici!
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