Questo artificio è adottato non solo ma è gustosamente celebrato in quel Roman de la Rose, che rappresenta l'opera centrale del secolo decimoterzo e che dalla Francia si diffonde trionfalmente nel mondo attraverso la traduzione inglese di Chaucer, attraverso la traduzione italiana di quel Durante che è, come vedremo, quasi certamente Dante Alighieri.
Tutti sanno che il Roman de la Rose è allegorico, ma i più credono che la sua allegoria si ritrovi nei particolari allegorici, nella descrizione delle pitture, delle statue, e simili. Ma quella che importa invece è la profonda e significantissima allegoria centrale del poema, dell'importanza della quale i filologi, al solito, pare non si accorgano. Poiché io miro soprattutto a illuminare lo spirito e il carattere della poesia d'amore italiana, non prenderò qui in esame il romanzo originale, ma quella trasformazione di esso che fu fatta da un italiano per gli italiani, e che porta il titolo Fiore.
Quell'italiano era certamente un fiorentino che viveva nei tempi nei quali visse Dante e quando avremo compreso bene il significato profondo di questo poema, avremo, credo, una ragione di più e forse definitiva per riconoscere che l'autore di esso fu proprio Dante Alighieri(164).
Il Fiore è un manuale settario che spiega e giustifica l'adozione del gergo segreto e della dissimulazione da parte della setta dei «Fedeli d'Amore». Questa adozione è raffigurata dall'ingresso di «Falsosembiante» nella corte di Amore.
Bisogna rileggere il poemetto lasciando da parte le digressioni veramente erotiche, quelle nelle quali l'abilissimo autore ha immerso l'argomento vero dell'amore per il Fiore, bisogna lasciar da parte il simbolismo secondario di certe figure poco importanti e il doppio senso osceno col quale, specie sulla fine, si vela artatamente il doppio senso iniziatico e religioso del Poema.
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