Bisogna anche tener presente quell'idea comunissima in molte sette medioevali, cioè l'idea che la Chiesa di Roma, depositaria della vera, pura, santa dottrina di Cristo, la nascondesse alle genti (perché essendo essa corrotta dalla ricerca dei beni mondani diffondeva, invece di quella verità, errori e menzogne, «privilegi venduti e mendaci», ecc.) e perseguitasse coloro che quella verità cercavano. Ora l'allegoria fondamentale del poema è questa.
La «Rosa» che l'amante cerca non è né l'amata né, tantomeno, la sua femminilità. L'amante è il mistico amante della Sapienza santa la quale prende qui il nome di «Rosa» (o di «Fiore») che ritorna stucchevolmente in tutta la poesia del duecento. Ma la «Rosa» (la Sapienza santa - la vera dottrina) viene rinserrata da «Gelosia» (la Chiesa) in un castello. Ne sta a guardia «Malabocca» (l'inquisitore). L'amante dovrebbe disperare di conseguire la Sapienza santa che egli ama, se un Amico anonimo (iniziatore alla setta) non lo consigliasse. Essendo vana la forza, l'Amore (la setta) si giova dell'opera di «Falsosembiante» (dissimulazione della propria fede) il quale riesce a ingannare e uccidere Malabocca (l'inquisitore), così che l'amante può conseguire la gioia del «Fiore» desiderato (attingere la trionfante Sapienza santa).
Vediamo come si svolge questo tema.
Il poeta ferito da Amore (che è l'amore per la Sapienza santa coltivato dalla setta) giura di essergli fedele «più che Assessino al veglio» (si osservi il ricordo della setta Ismaelitica della Siria). Amore (la setta) gli pone «la bocca sulla bocca» poi gli «ferma il cuore con una chiave d'oro» (patto iniziatico e promessa del segreto), gli annunzia sofferenze e prove dicendogli che deve metter da parte la fede nei «mastri divini» presentati e interpretati dalla Chiesa
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