Costretta-Astinenza (che dice che non potrebbe vivere senza Falsosembiante) espone la vita gioiosa che essa mena con lui:
e nostra vita dimeniam gioiosa,
sanza dir cosa mai che noi pensiamo.
La cera nostra par molto pietosa,
ma non è mal nessun che non pensiamo.
Ben paiam noi gente religïosa! (LXXX)
Amore (la setta) non vorrebbe fidarsi molto di Falsosembiante ma questi gli promette di essere leale. La baronia fa consiglio ove tutti sono d'accordo ad aiutare l'amante, (tranne Ricchezza la quale naturalmente parteggia per la Chiesa) e decide:
che Falsembiante e Costretta-Astinenza
desseno a Malabocca scacco matto. (LXXXIV)
e dà poi ufficio per la lotta alle altre virtù.
Amore (la setta) inveisce contro Ricchezza minacciando che un giorno ne farà vendetta. Falsosembiante entra dunque con ufficio importantissimo nella corte d'Amore. (I «Fedeli d'Amore» assumono un falso sembiante).
Amor sì disse: «Per cotal convento,
Falsosembiante in mia corte enterrai.
Che tutti i nostri amici avanzeraie metterà 'i nemici in bassamento. (LXXXVII)
Falsosembiante fa qui una lunga apologia di se stesso dicendo che egli vive per lo più nei chiostri:
I'sì mi sto con quei religïosi,
religïosi no, se non in vista... (LXXXIX)
e fa un quadro terribile della loro falsità e perfidia e del loro orgoglio, della loro potenza fondata sull'inganno e tra le sue vittime cita Sigieri (esaltato poi da Dante) e Guglielmo di Sant'Amore (XCII).
Falsosembiante aggiunge ancora molte delle idee più diffuse tra gli eretici Patarini, cioè che la religione si trova più tra i secolari che vestono «robe di color» che non fra i «religiosi», loda ugualmente l'abilità di Costretta-Astinenza che si trasforma pensando sempre al male, dice ch'egli della religione lascia lo grano e prendene la paglia (CIII), espone, attribuendoli a sé, tutti gli inganni attribuiti alla Chiesa corrotta, le sue cupidige, predica contro la mendacità volontaria (degli ordini mendicanti) escludendone però un certo gruppo che non determina, dicendo che sono «persone ispeziali che van cherendo lor vita per Dio» (CXIII).
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