Leggendo questa poesia si comprende come i «Fedeli d'Amore» sentissero il bisogno di cambiare questo «vecchio stile» e di creare uno «stile novo».
E sommamente importante è il fatto che un tale cambiamento avvenne non per un lento sopravvenire di una moda, ma in certo modo di autorità, autorità di Guido Guinizelli il quale a un certo punto «mutò le maniere de li piacenti detti de l'amore» e sapete con quali argomenti sostenne la sua riforma e la necessità di questa riforma contro Buonagiunta da Lucca? Con argomenti che non hanno assolutamente nulla a che vedere né con l'arte né con l'amore, bensì col fatto che «ciò ch'uom pensa non de' dire». È Falsosembiante che ha fatto scuola e nulla è più istruttivo per intender che cosa fosse nella sua vera sostanza il dolce stil novo che seguire con una certa avvedutezza la polemica alla quale esso dette origine nel suo sorgere e la definizione sottilissima e significantissima che ne dette Dante dopo che esso fu fiorito.
La poesia siciliana e la poesia di Buonagiunta erano, sì, pervase dall'intenzione di celebrare la setta dei «Fedeli d'Amore», la «Rosa» che la simboleggiava e con essa l'aspettazione del trionfo di questa «Rosa» o «Fiore», ma non avevano profondità di dottrina religiosa o filosofica e si erano stilizzate e meccanicizzate nelle formule, come abbiamo visto nel citato sonetto di Buonagiunta da Lucca. Queste formule oltre a riuscire fredde e inefficaci rischiavano ormai di essere troppo trasparenti e Guido Guinizelli riformò sotto un doppio aspetto la poesia d'amore e cioè nella dottrina e nel gergo.
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