Quanto alla dottrina egli riportò più direttamente e più vivamente la poesia a celebrare non solo la setta, la «Rosa» in forma vaga, ma a celebrare più direttamente e con sentimento più profondo la divina Intelligenza, la santa Sapienza, oggetto del culto della setta. Egli richiamò nella tradizione una forte corrente di profondo senso filosofico e religioso.
Non solo, ma, mentre l'amore precedente, dirigendosi a una donna che non aveva nessun carattere preciso, usava a volte per esprimere l'idea mistica e settaria anche immagini volgari o sensuali che contrastavano con la sublimità, la purezza e l'altezza del vero oggetto amato, egli creò per simboleggiare la Sapienza santa, una figura di donna angelicata piena di virtù celesti, amata in puro spirito, con sembiante di angelo, la quale, pur avendo avanti al volgo e all'Inquisizione apparenza e nome di donna, mirabilmente si prestava a raffigurare nella poesia la santa Sapienza amata.
Così la purezza, la bellezza, la perfezione della santa idea plasmò la purissima, bellissima, perfettissima donna celebrata nel dolce stil novo. Non fu una sola donna reale, bella e pura, Beatrice, che fece venire in mente a un poeta di simboleggiare in essa la santa Sapienza, fu la santa Sapienza amata e vagheggiata da secoli nell'antichità come perfezione divina, che per vestirsi degnamente e artisticamente informò di sé tutte queste vaghe e inafferrabili figure di donna.
E l'altra riforma di Guido Guinizelli consisté in questo, che invece di trattenere la poesia intorno a quella formula ormai vieta e a quel nome ormai abusato di «Rosa», «Fiore» dette genialmente a questa Sapienza santa il nome di una donna credibilmente viva e vera, diversa per ciascun amatore.
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