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      Ma questa semplice constatazione dell'esistenza del gergo mistico-filosofico del Convivio (constatazione contro la quale non credo che si possa in alcun modo sofisticare) ci conduce a due importanti deduzioni.
      1. Che la critica «positiva» può ritirare un argomento sciocchissimo e rettorico che ha portato contro il Rossetti: Dante non era uomo da giuocare sul gergo. Dante era uomo del trecento, di un secolo cioè nel quale si adoprava il gergo, si scriveva oscuramente per simboli e si salvava per mezzo di Falsosembiante la propria idea e per mezzo di esso si sperava di scannare Malabocca. Dante era uomo che ha adoperato indiscutibilmente il gergo nel Convivio, non solo, ma in esso ha con mirabile arte e con sottile intendimento giustificato e glorificato la dissimulazione.
      Rileggiamo quello che dice a proposito della dissimulazione, e se i vecchi pregiudizi non ci hanno accecato, sentiremo riaffermare da lui l'utilità, la bellezza, la necessità di dissimulare il proprio pensiero. «E questa cotale figura in rettorica è molto laudabile, e anco necessaria, cioè quando le parole sono a una persona e la 'ntenzione è a un'altra... questa figura è bellissima, utilissima e puotesi chiamare "dissimulazione". Ed è simigliante a l'opera di quello savio guerrero che combatte lo castello da un lato per levare la difesa da l'altro, che non vanno ad una parte la 'ntenzione de l'aiutorio e la battaglia(196)». È chiaro?
      Dante si riserba il diritto della dissimulazione, loda e ammira questa bellissima, utilissima, necessaria figura rettorica, la usa per la sua confessione come un guerriero savio che, volendo assalire un castello, si volge da una parte per levare la difesa dall'altro.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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