Tra la necessità di essere uniti nella lotta e quindi di cercare, non solo di far proseliti ad Amore, ma di prender contatto con delle strane donne lontane (sètte affini, forse Catari, Valdesi, Templari) e d'altra parte la tendenza individualistica, per la quale questi spiriti eminentemente italiani e tutti di forte personalità, difficilmente si piegano senza discutere alla disciplina della setta stessa, la poesia d'amore prende movenze apparentemente strane e diversissime.
E queste diversità si moltiplicano anche perché in queste forti personalità prevale a volta a volta l'uno o l'altro dei diversi elementi spirituali che confluiscono in questo strano e convenzionale amore.
Risplende sì, su tutti, l'idea e l'immagine della Sapienza santa, identificata nel linguaggio convenzionale con la setta che raccoglie tutti i «Fedeli d'Amore»; ma in Guido Guinizelli, in Guido Cavalcanti, in Dante, in Cino, la poesia di finto amore aderisce più strettamente all'immagine della Sapienza santa, in altri più all'idea della setta con la quale carteggiano per mezzo della poesia d'amore. E i primi due hanno dinanzi agli occhi più specialmente l'aspetto filosofico della Sapienza divina, soprattutto Guido Cavalcanti che definisce l'amore come prendente loco nell'intelletto possibile e quindi come raggio dell'Intelligenza attiva. Dante invece nella Vita Nuova dà a Beatrice il carattere vero della Sapienza mistico-iniziatica e vedremo come il suo amore per essa si svolge in gradi successivi di iniziazione, ma egli pure ha la parentesi filosofico-intellettualistica del Convivio e dopo di essa la sua donna riappare in forma assai più limpida col carattere di Sapienza già affidata alla Chiesa e della quale ora sul Carro della Chiesa è stato usurpato il posto.
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