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      L'odio feroce che spira da ciascuno di questi versi sarebbe sciocco e insulso se sprecato contro la morte vera e specialmente assurdo sulla bocca di un cristiano che credeva (come credevano tutti costoro) all'immortalità dell'anima.
      E comincerebbe con l'essere sciocchissimo, se non avesse altro che un senso letterale, il primo verso: «O morte della vita privatrice», che non ci direbbe davvero una notizia peregrina, ma che acquista un senso quando in quel «della vita privatrice» si legga negatrice della verità santa. L'appello al «divin Fattore» contro la morte sarebbe esso pure piuttosto sciocco, visto che è lui che la manda, mentre contro la Chiesa ricorda perfettamente l'invocazione di Dante nella Divina Commedia, piena di tragica aspettazione per la punizione della Chiesa corrotta. L'espressione secondo la quale la morte è fatta «nel mondo vicara» deve ricordare il corrotto Vicario di Dio e non ha senso serio nel piano letterale. È insulso e sciocchissimo il minacciare alla morte che essa sarà giudicata nel giorno del giudizio (quando non ci sarà più) e che allora essa sarà «a orribile morte giudicata», mentre l'attesa del Die giudicio contro la Chiesa corrotta è proprio uno dei motivi più triti nell'ambiente eretico e ghibellino. Alquanto ridicolo il particolare che il poeta promette di metterci le mani anche lui nel giorno del giudizio quando si tratterà di ammazzare la morte (!). Anche quest'idea prende ben altro significato nella tragedia della vita del trecento.
      O morte della vita privatrice,


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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