Domanda a Cecco d'Ascoli se deve stare a Firenze o andare a Roma ma in realtà gli chiede se è il caso di tenersi al «fiore» (alla setta) o passare alla «pietra» (Chiesa). E Cecco attraverso molti pasticci astrologici (nei quali sarà bene osservare come questa gente ravvolgeva il pensiero importante), gli raccomanda di non lasciare «il fiore» perché ormai «il fiore» sta movendo «il frutto», cioè la setta sta per ottenere il suo trionfo, il rinnovamento felice dell'umanità che è appunto «il frutto». Ognuno può vedere che il «fior», considerato come Firenze secondo l'apparenza del primo sonetto, non poteva dare ragionevolmente nessun «frutto».
Cecco, io ti prego per virtù di quellach'è della mente tua pennello e guida,
che tu scorra per me di stella in stellanell'alto ciel, seguendo la più fida:
E di' chi m'assecura e chi mi sfida:
e qual per me è laida e qual bella,
perché rimedio la mia vita grida
(e so da tal giudizio non s'appella);
E se m'è buon di gire a quella pietradov'è fondato il gran tempio di Giove
o star lungo 'l bel Fiore o gire altrove,
O se cessar della tempesta tetrache sopra 'l genital mio terren piove.
Dimmelo, o Tolomeo, che 'l vero trove(268).
E Cecco risponde, dopo aver divagato sui corpi celesti:
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Ciascun de questi corpi per voi impetrasalute et fama, et non ricchezze nove
hor non lasciate 'l fior che fructo move.
Pistoia per sua parte non si spetragirando 'l cielo per questi anni nove,
dico se la pieta ciò non rimove(269).
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