«Piangere». È questa una delle parole che hanno offerto alla finta poesia d'amore la possibilità di più sottili giochi. Essa significa simulare e precisamente «simulare fedeltà alla Chiesa corrotta e dominante, seguirne i riti e le imposizioni, ma rimanendo nel cuore fedeli alla setta». La prima volta che lessi questa spiegazione nel Rossetti, ne rimasi sbalordito anch'io e confesso che fui lì lì per metter da parte il libro. Ora, dopo anni di studio, mi meraviglio di quella mia meraviglia. Noi non ignoriamo che gli eretici del Medioevo, per esempio i Catari, prescrivevano agli affiliati di simulare l'ortodossia quando non potevano sfuggire alla persecuzione, come Guido prescriveva (vedremo) ai «Fedeli d'Amore» ben provveder di «mettersi in grato della religione», cioè della Chiesa. Abbiamo già visto che nel Fiore l'amico-iniziatore dice all'amante che per conquistare la Rosa deve molto «piangere» avanti alla vecchia che l'ha in custodia (Papa o Chiesa).
Molti dei motivi strani e tragici che vengono fuori in questa simulata poesia d'amore si ricollegano appunto a questo fatto, che il poeta ogni tanto deve far sapere alla setta che egli ama la sua donna, ma è costretto a piangere, cioè a fingere di non amarla e a seguire nella pratica della vita la volontà della Chiesa e a fingersi sottomesso a lei e a parlare simulando, e perciò si comporta esternamente come un non amante.
Le tragedie, delle quali vedremo le tracce, nascono da questo, che molte volte la setta accusa l'amante (l'adepto) di essere infedele e di qui le proteste dell'adepto che dice che egli piange soltanto, cioè simula fedeltà alla Chiesa corrotta, ma è fedelmente legato a Madonna, cioè alla vera Sapienza santa, alla Setta.
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