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      Due casi veramente caratteristici ci mostrano questa parola «pianto» nel suo vero significato.
      Dante che, come vedremo in seguito, fu per un certo tempo allontanato dalla setta perché sospetto di esserle infedele (e la negazione del saluto di Beatrice si riferisce proprio a questo fatto), comincia una delle sue più oscure canzoni così:
      Poscia ch' Amor del tutto m'ha lasciato,
      non per mio grato,
      ché stato non avea tanto gioioso,
      ma però che pietosofu tanto del meo core,
      che non sofferse d'ascoltar suo pianto;
      i' canterò così disamorato...(280)
      In questi versi è evidente che il gioco del gergo ha tradito la logica del poeta. Egli voleva dire velatamente che era stato allontanato dalla setta non per volontà sua, ma perché la setta non aveva saputo ascoltare e comprendere il suo pianto, cioè la simulazione che egli aveva dovuto fare accostandosi alla Chiesa. Ma non si è accorto che questo suo pianto così pietoso contraddiceva nettamente ai versi precedenti nei quali aveva detto che «stato non avea tanto gioioso», cioè che non vi era uno stato così gioioso come il suo (tanto è vero che lui non voleva esser lasciato da amore).
      Si consideri attentamente questa strofa di Cino da Pistoia:
      Amico, se egualmente mi ricange(281)
      nïente già di me sarai allegro,
      ch'io moro per la oscura, che pur piange,
      la qual velata è 'n un ammanto negro(282).
      Chi sia propriamente questa donna, perché pianga, perché si chiami la oscura, perché sia velata di un manto negro, naturalmente nessuno ce lo dice o si inventano in proposito romanzetti realistici.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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