L'Orlandi gli fece pedantescamente osservare che Amore «il vero amore, non può piangere», esso infatti non simula mai; simula invece l'uomo innamorato o la donna «per segnoraggio prendere e dividere», cioè nelle lotte della vita. Il settario vigilato simula (piange), non l'Amore. Riporto i versi perché in essi è evidentissimo il gioco del gergo:
Per troppa sottiglianza il fil si rompe
. . . . . . . . . . . . . . . .
Ch'amor sincero non piange né ridein ciò conduce spesso omo o fema.
Per segnoraggio prende e divide.
E tu 'l feristi e no li perla sema (?)
Ovidio leggi: più di te ne vide.
Dal mio balestro guarda ed aggi tema(284).
Si osservi come l'Orlandi attribuisca l'errore di Guido alla «troppa sottiglianza» e come lo richiami a leggere «gli Ovidi», espressione usata anche da Cino da Pistoia e che evidentemente vuole indicare le prescrizioni convenute del gergo amatorio (così chiamate perché Ovidio aveva scritto la Ars amandi) e come egli (buon balestriere come sappiamo) si presenti scherzosamente pronto col suo balestro a cogliere in fallo il Cavalcanti.
Il Cavalcanti risponde sdegnosamente: «Di vil matera mi conven parlare» e dicendo all'Orlandi in varie parole che egli s'intende d'amore «di sua manera dire e di su' stato» meglio di lui. L'Orlandi, ostinato, risponde con un sonetto che è una vera rivelazione perché in esso riconosce al Cavalcanti un gran numero di bellissime qualità, che hanno rapporto evidente con l'Amore settario ma non hanno nulla a che vedere con l'amore per la donna.
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