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      La mia natura combatte e divideMorte, ch'io veggio là unque mi giro,(335)
      e non risulta che stesse alla guerra dove avrebbe potuto vedere davvero la «morte» tutta in giro, ma era soltanto sotto la minaccia della Chiesa che lo sorvegliava da ogni parte, sicché la sua «natura» (debolezza) era combattuta e divisa tra la paura di lei e il desiderio della Sapienza santa, cioè l'amore per la setta. Altrove Cino stesso scrive:
      L'uom che conosce è degno ch'aggia ardiree che s'arrischi; quando s'assecura
      vêr quello onde paurapuò per natura o per altro, avvenire.(336)
      Parole nelle quali si parla sempre con artificiosa espressione indefinita di quello onde a cagione della (debole) natura dell'adepto può venire paura. Naturalmente aver natura gentile significa invece essere «Fedele d'Amore». Cavalcanti dice alla ballata: «Guarda che persona non ti miri / che sia nemica di gentil natura».(337)
      «Gravezza». È il doloroso imbarazzo del «Fedele d'Amore» stretto tra le minacce della Chiesa e L'attrazione della setta.
      Cino, per far sapere che egli si comporta in dato modo (che destava sospetti) per la situazione imbarazzante in cui lo poneva la sorveglianza della Chiesa, scrive:
      E gli atti e gli sembianti ch'io foeson come d'un che 'n gravitade more.(338)
      Guido Cavalcanti, incaricando Dante di sorvegliare Lapo e la sua fedeltà ad Amore e alla donna scrive:
      ché molte fiate così fatta gentesol, per gravezza, d'amor fa sembiante.(339)
      Frase che non avrebbe nessun senso serio (come del resto tutto il sonetto), se si trattasse di vero amore.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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