Ma con ciò dovremo affermare che questi poeti, capaci di trattare la poesia d'amore e che di regola l'adoperavano come strumento per comunicarsi idee mistiche e settarie, si proibissero in modo assoluto di scrivere qualche volta una ballatella o un madrigale per dire una cosa gentile a una donna vera o per compiacerla o per commuoverla un poco? Questo non si può assolutamente affermare, come non si può disconoscere che vi dovettero essere alcuni i quali, imitando le forme esterne della lirica d'amore e ignorandone il contenuto simbolico, ripetevano con solo senso letterale le formule che per gli iniziati erano simboliche. Sono, come abbiamo visto, coloro dei quali Dante e il Cavalcanti ridevano dicendo che «rimavano stoltamente».
Del resto debbo ricordare che a proposito della poesia persiana, indubitabilmente poesia mistica e simbolica, molte volte si presenta il dubbio se un poeta in quel momento scriva d'amore o se simbolizzi, e di tale incertezza è piena tutta la storia della letteratura persiana, la quale però non dubita minimamente dell'esistenza del gergo mistico-amoroso.
Io sostengo che una corrente di pensieri iniziatici si immise a un certo punto nella poesia d'amore e via via pervase fino al punto che il grande nucleo centrale dei poeti d'amore, quello che visse intorno a Dante, finì con lo scrivere di regola in linguaggio d'amore simbolico con un gergo artefatto, il che spiega le molte incongruenze e oscurità di questa poesia; ma che non sia rimasto nessun residuo di poesia d'amore vera, che cioè il gergo abbia pervaso interamente tutta la lirica, è cosa della quale, anche se fosse vera, non si potrebbe mai avere una prova assoluta.
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