quei che si parte da sì dolce spene(374).
Ché la vita d'amore è graziosa,
e 'n tutte cose si sape avanzarelo 'nnamorato me' che l'altra giente;
ché chi non à d'amor né non ne sentenon puote, al mi' parer, di sé mostrare
neente ch'apartenga a nobil cosa.(375)
È particolarmente interessante la seguente ballata di Guido Cavalcanti: Veggio negli occhi della donna mia, alla quale ho già accennato. Dinanzi a essa non so se qualcuno pensi sul serio che la donna sua sia una donna di carne, perché a questa donna sua accade il fenomeno stranissimo che dalla sua labbia, dal suo aspetto, (o secondo altra interpretazione dalle sue labbra) esce un'altra donna e poi un'altra, ambedue bellissime e dall'ultima si muove una stella e si annunzia che «è apparita la salute»! Poiché questa donna è la Sapienza santa (la Beatrice, la fede) nascono naturalmente da lei altre due divine virtù, la carità e la speranza, la quale ultima naturalmente manda una stella (un messaggio lieto - si ricordi la stella apparsa ai Magi) che annunzia la salute all'anima.
La donna divina è esaltata per la sua santa umiltà e per il suo valore, ma chi insiste nel mirarla, chi cioè la guarda a lungo e progredisce nella Sapienza santa, giunge a quell'«excessus mentis» nel quale Rachele muore (come muore Beatrice), giunge cioè «all'atto della contemplazione pura» nel quale la virtù della divina Sapienza trascende il mondo per salire nel cielo. (Vd. Op. cit. IV, 5).
Veggio ne gli occhi de la donna miaun lume pien di spiriti d'amore
che porta uno piacer novo nel core
| |
Guido Cavalcanti Veggio Sapienza Beatrice Magi Sapienza Rachele Beatrice Sapienza
|