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      veneno che venena el cor del corpo,
      via iniqua, porta infernale;
      quando se pinge, pogne più che scorpo;
      tosseco dolce, putrida sentina;
      arma del diavolo e fragello;
      prompta nel male, perfida, assassina.
      Luxuria malegna, molle e vaga,
      conduce l'omo a fusto et a capello;
      gloria vana et insanabel piaga.
      Volendo investigar onne lor via,
      io temo che non offenda cortesia(437).
      Ebbene, nello stesso poemetto dove della femmina si parla in questo modo, si parla viceversa di un'innominata donna con le parole più alte e più nobili, si parla dell'amore discutendone con Dante e affermando contro di lui che esso, una volta che ha preso il cuore, non si diparte altro che per morte. Si dice che Amore:
      Ardendo fa la vita el ben sentiredonna mirando nel beato loco
      che pace con dolcezza par che spire(438).
      E si dice apertamente, senza mai spiegare di che specie di donna si parli:
      I' son dal terzo celo trasformatoin questa donna, che non so chi foi(439),
      per cui me sento onn'ora più beato.
      De lei prese forma el meo intellecto,
      mostrandome salute li occhi soi,
      mirando la vertù del so conspecto,
      donqua, io so ella; e se da me scombra,
      allora de morte sentiraggio l'ombra.(440)
      Perché il poeta dica «Donqua io so ella» ora si può ben intendere. Egli è immedesimato con l'«intelligenza attiva» come la figura «Moglier e marito» del Barberino e secondo la frase di Averroè «la massima beatitudine dell'animo umano è nella sua suprema ascensione. E dicendo ascensione intendo il suo perfezionarsi e nobilitarsi in modo che si congiunga con l'intelligenza attiva e siffattamente uniscasi a quella che diventi uno con essa» (vedi cap.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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