IV, r). E si continua con evidente simbolismo mistico dicendo:
O viste umane, se fossete degnede veder como de grazia fontana
e com'el celo in lei vertute pegne!
Costei fo quella che prima me morsela nuda mente col disio soverchio,
che subito mia luce se n'accorse.
Onne intellecto qui quiesca e dorma,
ché non fe' mai, sotto 'l primo cerchio,
Deo e natura sì leggiadra forma.(441)
Si osservi che la donna morse la nuda mente, cioè l'intelletto puro e chi se ne accorse fu «mia luce», cioè quella parte dell'anima che è luce della Sapienza che vuole ricongiungersi a lei.
Mescolando la sua sapienza di naturalista con la glorificazione di questa misteriosa donna, Cecco d'Ascoli continua ora dicendo che la lumerpa è luminosa e che le sue penne continuano a far luce anche dopo che essa è morta:
Così da questa ven la dolce luce,
ch'aluma l'alma nel disio d'amore;
tollendo morte, a vita conduce.
E l'om, morendo po' con questa donna,
luce la fama; nel mondo non moree de sospiri fa questa lonna.
Ma chi da questa donna s'allontana,
perde la luce de le prime penne,
de soa salute onn'ora s'estrana;
ma, prego, con li dolci occhi me sguarde,
tollendo del mio cor le penne vane,
del ceco mondo che onn'ora m'arde:
e la soa forza me conduce a tanto,
che sempre li occhi gira 'l tristo pianto.(442)
Continua, dicendo che un altro uccello, lo stellino, sale nell'aria abbandonando il dolce nido per amore della stella e aggiunge:
È simel donna questa del stellino,
che fa volar la mente nostra accesa.
Nel gran disio de lo ben divino(443).
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Sapienza Cecco Ascoli
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