Tu sei il grande Ascholan che 'l mondo allumiper gratia de l'altissimo tuo ingegno,
tu solo in terra de veder sei degnoexperientia de gl'eterni lumi.
Tu che parlando il cieco error consumi,
e le cose vulghare hai in disdegno,
hora per me, che dubitando vegnopregote che tu volgi i toi volumi.
Guarda se questo misero sugettodescender pò giamai facto felice,
ho se madonna de l'usato gieloesser pur mio distino il contradire
ritrarà la virtù del terzo cielo,
questo vano sperar me tra' dil pecto(460).
La risposta di Cecco d'Ascoli (risposta per le rime) non dice neanche una parola della donna del Petrarca. Eppure risponde al suo sonetto. Come? Parlando della propria disperazione. Cecco d'Ascoli dispera. Ormai le vele del suo legno sono rotte. I tempi sono malvagi: dalla grande altezza (della Chiesa) vengono i gran tuoni (violenze e scomuniche). La guida che fu mia, la mia donna - dice l'Ascolano - la santa Sapienza nella quale speravo, mi ha fatto infelice per il suo dolce inganno, con la dolce speranza che essa potesse trionfare: oggi sotto il velo della poesia che era il velo di lei io vado traendo guai e non sono più quello che ero, tanto sono addolorato e disperato.
Così rispondeva Cecco al Petrarca che gli aveva domandato se egli, il Petrarca, sarebbe mai stato felice dell'amore della sua donna. Rispondendo apparentemente tutta un'altra cosa e parlando del disinganno avuto dalla propria e del tralignare dei tempi, Cecco rispondeva perfettamente a tono e in forma tragica; gli rispondeva: «La tua donna, che è la stessa mia donna, ci ha delusi.
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