Non spero ormai più il suo trionfo («non spero di salute ormai più segno»), quindi non avrai il felice amore della tua donna trionfante tra poco nel mondo come tu speravi!»
Io solo sono in tempestati fiumie rotte son le vele del mio ingegno,
non spero di salute omai più segno,
che 'l tempo ha variato li costumi.
Di grande altezza vengono i gran tumi;
d'extremo riso vien pianto malegno;
non è fermezza nel terrestre regno,
passano gli atti umani come fumi.
La guida che fu mia sanza sospetto,
col dolce inganno m'ha fatto infelice,
e vo'(461) traendo guai sotto il suo velo;
di lagrimar e di sospir m'aggelo,
ché più non son quel Ceccho che uom dice,
avegna che somigli lui in aspetto.(462)
Considero questa come una prova dell'identità della donna cui allude Petrarca e della donna di cui parla Cecco d'Ascoli, del carattere assolutamente mistico di questa donna che doveva ridare la salute al mondo e del carattere settario della corrispondenza tra questi due poeti.
E non si può nemmeno dubitare del carattere settario della corrispondenza che Cecco d'Ascoli aveva avuto con Dante in tempi di accordo e in un momento nel quale Dante aveva assunto delle grandi responsabilità e si riprometteva di compiere evidentemente una grande opera nella quale sarebbe andato «diritto e clodico» e si sarebbe mostrato «Francesco e Rodico», frasi delle quali riparleremo. Cecco scriveva a Dante:
Tu vien da lunge con rima balbatica,
la più che udrò per infino che vivero,
ché, se venisse ove nasce il pivero,
si basterebbe ad aste alla sua pratica (?)
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