Ma la critica realistica, che vuol credere alla testimonianza del Boccaccio, non ha mai sospettato per un momento quello che, dopo quanto precede, noi possiamo affermare con assoluta sicurezza, e cioè che esisteva una setta dei «Fedeli d'Amore», e il Boccaccio, che era uno dei fedelissimi e dei più profondi conoscitori e maneggiatori del simbolismo segreto, tutto avrebbe potuto fare fuorché raccontare alla «gente grossa» chi fosse veramente la Beatrice della «Vita Nuova».
Nella Divina Commedia era facile accomodare le cose chiamandola «teologia», ma nella Vita Nuova, come fare?
Evidentemente molti i quali chiamavano la donna di Dante Beatrice e «non sapeano che si chiamare», andavano cercando chi fosse la famosissima donna del Poeta e nulla di più facile che la gente, cercando, si sia fermata sopra una Beatrice Portinari che abitava a cinquanta metri dalla casa di Dante, che apparteneva a una famiglia amica degli Alighieri ed era morta al tempo della giovinezza di Dante. Naturalmente i Portinari si erano attaccati subito a questa gloria di famiglia. E il Boccaccio perché doveva rinunciare a questa magnifica maniera di non dire che la Beatrice della Vita Nuova era la Sapienza santa della sua setta segreta? Si trattava addirittura in quel tempo di fare che Vita Nuova e Divina Commedia fossero intese il meno possibile dalla Chiesa che aveva già bruciato la «Monarchia». E la burla di Giovanni Boccaccio a proposito della Beatrice reale, sta mirabilmente insieme, come vedremo, alla più grande e più tragica beffa che Giovanni Boccaccio fece alla «gente grossa» nel suo artefatto commento col quale, come egli stesso disse poi, aveva messo «in galea senza biscotto» il «vulgo ingrato» dandogli a intendere quello che voleva e nascondendo il vero senso del poema.
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