Ma c'è una seconda osservazione da fare, più grave ancora. Il D'Ancona che non ha saputo trovare l'ombra di un argomento serio da opporre alla granitica dimostrazione del Perez il quale, in perfetta armonia con lo spirito e con la cultura medioevale, chiamava Beatrice, Intelligenza attiva o Sapienza, vuole a un certo punto spiegar lui l'aspetto simbolico di Beatrice che, per quanto di cattiva voglia, è costretto a riconoscere anche lui nella Vita Nuova, e allora scrive: «Beatrice è simbolo non di un'idea, vuoi filosofica, vuoi teologica, vuoi mistica, vuoi storica, essa è figura e simbolo dell'idea».
Ora che cosa significa quest'«idea» generica e astratta nella mentalità medioevale? Dove mai nelle opere di Dante e del suo tempo s'è parlato di quest'«idea» generica, astratta, indefinita, tarda figlia di un platonismo romantico e di natura piuttosto mazziniana che medioevale? Quando mai il Medioevo così definito, così preciso, ha vagheggiato quest'«idea» così insignificante nella sua astrazione?
Il D'Ancona trovava questa vaga parola «l'idea» nel romanticismo del secolo XIX e con un superficialissimo procedimento la appiccicò al pensiero medioevale e, quel ch'è peggio, trasse in questo grosso errore il Carducci il quale, commentando la canzone Tre donne, vien fuori a dire che in essa, e in genere nello stil novo, l'Amore rappresenta l'idea o l'ideale!
Inutile dire poi che il D'Ancona, che dubitava che Beatrice potesse essere «l'Intelligenza attiva» solo perché gli pareva strano che ci fossero voluti seicento anni per scoprirlo (naturalmente perché lo aveva scoperto il Perez), non trovava affatto strano che ce ne fossero voluti seicentotrenta per scoprire che era l'idea (naturalmente perché questo lo avrebbe scoperto lui!
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