La critica realistica, che prende alla lettera tutto ciò che Dante dice, deve spiegare tutto questo e spiega così: Dante nel 1283 ebbe un sogno, nel quale gli fu rivelato (nell'andare d'Amore verso il cielo con la donna in braccio) che la donna doveva morire... nel 1290, cioè sette anni dopo.
Non c'è che dire, la critica «positiva» per non voler credere ai simboli deve credere ai sogni!
IV. Dopo non aver spiegato affatto il sonetto, Dante ripete ancora una volta che il suo spirito naturale era «impedito ne la sua operazione però che l'anima era tutta data nel pensare di questa gentilissima» (cioè nella contemplazione). Allora dice, «molti pieni d'invidia già si procacciavano di sapere di me quello che io volea del tutto celare ad altrui» (si osservi come questa parola invidia, per uno che appariva così mal ridotto come egli dice, sia assolutamente fuori di luogo, ma «invidia» o «gelosia» si è sempre chiamata in gergo la Chiesa o l'Inquisizione, la quale appunto voleva conoscere il suo segreto). «E io (si noti il tono di queste parole), accorgendomi del malvagio domandare che mi faceano (e che ci sarebbe stato di malvagio nel chiedere a un giovane di vent'anni che male avesse o anche di chi fosse innamorato?) per la volontade d'Amore (della setta) lo quale mi comandava secondo lo consiglio de la ragione (prudenza), rispondea loro che Amore era quelli che così m'avea governato» (davo a intendere che i miei pensieri e le mie poesie per la Sapienza santa fossero soltanto poesie d'amore per una donna, ma mi guardavo bene dallo spiegare chi veramente io amassi). Infatti «quando mi domandavano: "Per cui t'ha così distrutto questo Amore?
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