, io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro».
V. Dante dunque, seguendo le prescrizioni della setta (di Amore) che lo consiglia secondo la prudenza (Ragione), deve fare credere alla gente d'essere innamorato di una donna vera.
In una Chiesa (forse) dove egli è in contemplazione della verità santa, una donna vera crede d'esser guardata da lui, lo guarda e Dante ne fa uno schermo, cioè fa credere d'essere innamorato di questa donna vera. «Con questa donna mi celai alquanti anni e mesi; e per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui, se non in quanto facesse a trattare di quella gentilissima Beatrice». Evidente confessione di dissimulazione nello stesso piano letterale.
VI. In questo tempo egli fa una sirventese ricordando il nome di quella gentilissima e accompagnandolo di molti nomi di donna, probabilmente i nomi, tutti figurati, d'altre donne (di adepti). Il numero sessanta delle donne è un numero mistico. La Sapienza di Salomone è l'eletta fra sessanta regine, e l'Intelligenza di Dino Compagni ha una corona di sessanta pietre preziose. Questa sirventese si è perduta. Non è illogico credere che il conservarla fosse alquanto pericoloso. Aggiungiamo un particolare. Dante racconta che quando egli scriveva la sirventese «in alcuno altro numero non sofferse lo nome de la mia donna stare, se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne». Dobbiamo crederci sul serio? Che davvero Dante avendo sessanta nomi da mettere in una sirventese, non riuscisse a mettere il nome di Beatrice in nessuno degli altri 59 posti?
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