Tiriamo via, si tratta di un artificio per riaffermare l'equazione Beatrice = 9 = Sapienza.
VII. La donna vera parte. Dante è costretto a esprimere il suo dispiacere (che non prova per niente) in una poesia nella quale la parte di mezzo, secondo quanto egli confessa, è scritta «con altro intendimento che l'estreme parti del sonetto non mostrano». Le estreme parti (false) significano dolore del distacco; la parte centrale, la vera, esprime soltanto l'innalzamento morale che il poeta sente d'aver ricevuto dal fatto d'appartenere alla setta dei «Fedeli d'Amore» ed è questa:
Amor, non già per mia poca bontate,
ma per sua nobiltate,
mi pose in vita sì dolce e soave,
ch'io mi sentia dir dietro spesse fiate:
«Deo, per qual dignitatecosì leggiadro questi lo core have?».
Con ciò Dante dice quello che dicono tutti i «Fedeli d'Amore» che cioè l'Amore della Sapienza rende gentili (puri), i suoi seguaci.
VIII. La sorveglianza, la pressione o la minaccia della Chiesa disperde intanto un altro gruppo settario, o si potrebbe dire, un'altra loggia connessa con quella dei «Fedeli d'Amore», raffigurata in una donna che è distrutta da «villana morte». Dante piange questa gentile donna vittima di «villana morte». È una donna che fu di «gaia sembianza». Amore se ne duole e il poeta impreca:
Morte villana, di pietà nemica,
di dolor madre antica,
. . . . . . . . . . . . . .
di te blasmar la lingua s'affatica.
. . . . . . . . . . . . . .
convenesi ch'eo dicalo tuo fallar d'onni torto tortoso,
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