I due continuano a ragionare. Dante domanda perché gli è stato negato il saluto; Amore risponde che Beatrice ha sentito dire che la donna dello schermo «ricevea da te alcuna noia; e però questa gentilissima, la quale è contraria di tutte le noie, non degnò salutare la tua persona, temendo non fosse noiosa». Si osservi questa strana e antiestetica ripetizione delle parole «noia» e «noioso». Dante è accusato di essere caduto nella «noia», di essere diventato «noioso», che in gergo (abbiamo visto) vale seguace della Chiesa corrotta. Il complicato giro di parole di Dante vuole arrivare a questa «noia» e ci insiste artatamente. Ecco la vera accusa: tu sei ritenuto uomo noioso, amico della noia e dei noiosi (seguaci della Chiesa corrotta).
Orbene, abbiamo un sonetto di Guido Cavalcanti, scritto in nome d'Amore, che se si pensi, come è ragionevole, scritto in questo momento, illustra perfettamente l'episodio: è un sonetto del capo della setta che dà a Dante una solennissima ramanzina proprio perché sta con la noiosa gente e perché è incacciato da uno spirito noioso e perciò posa vilmente e ha l'anima invilita. Bisogna rileggerlo ora questo sonetto per poterlo veramente intendere, ora che le due «noie» di esso si vengono a sommare con le tre «noie» del periodetto della Vita Nuova. S'intende ora che il capo della setta rimproverasse Dante d'aver deviato e di esser impigliato tra noiosa gente (gente della Chiesa) e con spirito noioso.
I' vegno il giorno a te infinite voltee trovote pensar troppo vilmente;
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