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      Se in questo discorso vogliamo intendere che i poeti possono usare personificazioni, ma in modo che esse abbiano poi una ragione, cioè un senso letterale, non esito a dire che il discorso di Dante risulterebbe alquanto sciocco, perché nessuno può prendere in considerazione poesie nelle quali manchi «una qualche ragione» nel senso che manchi una coesione di idee nel significato letterale.
      Ma dicendo che le poesie dei poeti volgari fatte su materia (su materiale) d'amore devono avere in sé una qualche ragione, Dante parlava evidentemente di una ragione simbolica più profonda, una ragione che sia possibile aprir per prosa, ma che egli non apre nient'affatto. E allo stesso modo parla evidentemente di una ragione profonda, di una ragione simbolica, quando dice che vi sono alcuni che rimano stoltamente «non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono».
      Questo «ragionamento» che deve essere nella poesia sotto veste di figura o di colore rettorico, questo «verace intendimento» della poesia si può esser certi che non è il senso letterale, il senso comune della poesia, ché non sarebbe stato davvero il caso di perder tempo a dire che le poesie devono avere un senso comune, è il secondo significato, il significato simbolico, affermato da Dante come necessario nella poesia d'amore, proprio qui in mezzo alla Vita Nuova.
      Dante aggiunge: «E questo mio primo amico (Cavalcanti) e io ne sapemo bene di quelli che così rimano stoltamente» (senza «verace intendimento»). Non era gente che rimasse senza dare un senso letterale, una coordinazione logica a quello che dicevano o alle loro personificazioni, erano dicitori che imitavano le forme esterne della poesia d'amore senza avere un'idea del suo contenuto mistico e simbolico, ed è perfettamente naturale che il Cavalcanti e Dante ne ridessero tra loro.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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