XXVI. Dante, dopo aver narrato oscuramente il suo assurgere alla suprema autorità della setta, dedica un capitolo a raccontare, non senza giustificata commozione, come la setta della quale egli aveva preso le redini in un momento assai difficile, giungesse a una nuova fioritura quasi trionfale. Ed egli da buon capo se ne compiace. «Questa gentilissima donna... venne in tanta grazia de le genti... onde mirabile letizia me ne giungea... E di questo molti, sì come esperti, mi potrebbero testimoniare a chi non lo credesse...». Questa divina Sapienza, non senza merito di Dante, va dunque ora tra la gente «coronata e vestita d'umilitade». Dante se ne compiace e vuole «ripigliare lo stile de la sua loda... acciò ché non pur coloro che la poteano sensibilmente vedere, ma li altri, sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere».
E canta ora a piena voce il suo canto più felice e più commosso, quello nel quale veramente questo raggio della divina Sapienza disceso in terra perché le anime sospirino l'eterna beatitudine, passa soavemente tra gli uomini abbassando orgoglio e dando salute. Passa, e il Poeta riesce finalmente una volta tanto, a vederla con occhi di puro poeta, a vederla come una vera donna gentile passante per la via in mezzo alle genti estasiate. Qualche ricordo di vero amore gli offre probabilmente la materia del suo dire ed egli canta questa volta così bene che non è meraviglia se il suo canto abbia risuonato nei secoli come il canto commosso di un'anima innamorata.
| |
Sapienza Dante Sapienza Poeta
|