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      In mezzo a tali oscurità e complicazioni mi pare si possa avanzare l'ipotesi che questa persona strettamente consanguinea a Beatrice, sia semplicemente un altro adepto della setta (Cino da Pistoia?) e che questa specie di strana collaborazione che arriva fino al punto che per la stessa donna si scrivono due strofe di una canzone, la prima a nome di uno e la seconda a nome di un altro (!), riconfermi quello che ho detto innanzi, che questa gente fa l'amore tutta insieme, che amano tutti la stessa donna la quale è:
      . . . . . . . . . . l'unica feniceche con Sion congiunse l'Appennino,
      e che Dante, per rendere un po' più accettabile nel senso letterale questo amore collettivo e questo pianto comune su Beatrice morta, abbia dato oscuramente la qualifica di consanguineo di Beatrice a un adepto che ne era innamorato come lui e abbia fatto notare che nella prima strofa della canzone Beatrice non era chiamata «donna mia», anche perché quell'adepto alla donna sua soleva dare naturalmente un altro nome.
      E la «gente grossa» non si lasci abbagliare dal fatto che qui Dante parla chiaramente di fratello di Beatrice e di padre di Beatrice. La santa Sapienza o la setta, poteva avere perfettamente padri e fratelli, visto che la filosofia ha, secondo Dante, familiari e parenti. Nel Convivio egli infatti dice che era desideroso non soltanto della filosofia, «ma di tutte quelle persone che alcuna prossimitade avessero a lei, o per familiaritade o per parentela alcuna(514)», e sono i filosofi.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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