Alla quale ricaduta poté certo molto contribuire il fatto che il gruppo mistico settario nel quale si coltivava il suo misticismo si era disciolto o si andava disciogliendo.
Ognuno comprende che lo spirito ferventissimo di Dante, anche se era passato attraverso una violenta emozione mistica verso i venticinque anni, non poteva fermarsi. Troppo mondo gli era aperto ancora, troppe curiosità lo assillavano e il campo stesso della conoscenza era ancora troppo vasto dinanzi a lui.
In queste condizioni appare a lui la «donna gentile». Intorno all'essenza di questa donna gentile abbiamo due testimonianze contraddittorie. La prima è di Dante, il quale dice che la donna gentile è «colei alla quale Pittagora pose il nome di Filosofia(515)».
La seconda è dei critici «positivi» e «realistici» dei tempi nostri i quali, a dispetto di Dante e delle sue chiare parole, ci dicono che la donna gentile era una femmina vera, magari la moglie di Dante, ma che Dante, imbrogliando solennemente contemporanei e posteri, dette a intendere nel Convivio che essa era Filosofia! E il D'Ancona in specie, ha osato affermare che Dante organizzò questo solenne e sfacciato imbroglio quando, volendo darsi alla politica, credette che quella sua instabilità negli amori giovanili potesse danneggiarlo(516).
Faccio osservare questo perché siccome la critica positiva protesterà certamente contro al fatto che io attribuisco a Dante artifici di stile e di linguaggio con i quali avrebbe velato il vero essere di Beatrice, voglio che risulti che la critica positiva per timore di dover riconoscere che la rivale di una «Donna Gentile» simbolica doveva essere una «Beatrice» ugualmente simbolica, attribuisce a Dante una volgare e sciocca mistificazione assai più irragionevole e meno nobile del velame che io riconosco nella Vita Nuova.
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