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      LXXXIII. La canzone: Poscia ch'Amor del tutto m'ha lasciato, appare chiaramente come una polemica contro la setta, polemica svolta in un momento nel quale Dante è stato lasciato da Amore (allontanato dalla setta) e non per sua volontà («non per mio grato»), ma perché Amore non «sofferse d'ascoltar mio pianto», cioè non comprese che io simulavo quando mi fingevo devoto alla donna dello schermo. Abbiamo già osservato la palese contraddizione che c'è tra quello stato gioioso e questo pianto e che si spiega soltanto interpretando, secondo il gergo, «pianto» per «simulazione». Si noti che qui troviamo riconfermata pienamente l'interpretazione che abbiamo dato del negato saluto. La setta (Amore) ha trattato male Dante perché non ha compreso ch'egli simulava, «piangeva», quando si mostrava attaccato alla Chiesa (la donna dello schermo). Dante canta ora «così disamorato» intorno alla leggiadria sperando, se la difende bene, «ch'Amor di sé gli farà grazia ancora». Egli si lamenta che si chiami a ritroso:
      tal ch'è vile e noiosocon nome di valore,
      in altri termini che la setta apprezzi e accolga (come spiegherà nelle strofe seguenti), gente ricca che spendendo «credon potere capere là dove li boni stanno», o che apprezzi altri che sono «ridenti d'intendimenti» (fanno la burla), manon sono innamorati
      mai di donna amorosa(537);
      ne' parlamenti lor tengono scedee addirittura:
      paiono animai sanza intelletto.
      Dante continua accennando ancora a una gentile che mostrava leggiadria in tutti gli atti suoi e dice:


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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