Saranne quello ch'è d'un uom di marmo,
se in pargoletta fia per core un marmo.
Il congedo canta mirabilmente la speranza di un nuovo tempo atteso, del trionfo della Sapienza amante quando «piove amore in terra da tutti li cieli», il tempo verde, il tempo gaio. Ma negli ultimi due versi sembra sorgere un dubbio atroce. Se quel «tempo felice» venisse troppo tardi? Se la pargoletta, «la donna che ha picciol tempo», la setta rinnovata di recente e pericolante ch'egli, Dante, quasi solo difende, sarà essa pure pietrificata dalla terribile Pietra che impietra («Pietra di fuor che dentro pietra face»)? Se, in una parola sola, la Chiesa corrotta ucciderà, annienterà anche lo spirito di verità che vive nella setta? Allora anche Dante perderà ogni speranza, allora egli pure sarà in aspetto impietrato come morto sotto la soggezione della funesta «pietra» che ha impietrato il mondo!
CI. La seconda delle pietrose, la sestina: Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra, è un lamento perché la giovane donna, la setta (non affatto la Pietra) non sente ancora il dolce tempo, non si ravviva e sta come gelida, senza sentire il tempo nuovo.
La prima strofe ripete ancora che il pensiero del poeta è «barbato nella dura pietra», cioè a dire «tiene forte immagine di pietra», è intento nel suo pensiero contro la pietra. Nelle strofe che seguono si lamenta che questa nuova donna, che non è niente affatto (si noti bene) la «pietra», bensì la giovane setta rinnovata con la sua santa idea, si stia gelata, immobile, senza fiorire d'amore, di verità, di potenza.
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