E con ciò vengo a dire che il rinunziare a mostrare, a far conoscere la loro sapienza sarebbe da parte dei «Fedeli d'Amore» un «bel disdegno» e lodevole.
Doglia mi reca ne lo core ardirea voler ch'è di veritate amico;
però, donne, s'io dicoparole quasi contra a tutta gente,
non vi maravigliate,
ma conoscete il vil vostro disire;
ché la beltà ch'Amore in voi consente,
a vertù solamenteformata fu dal suo decreto antico,
contra 'l qual voi fallate.
Io dico a voi che siete innamorateche se vertute a noi
fu data, e beltà a voi,
e a costui di due potere un fare,
voi non dovreste amare,
ma coprir quanto di biltà v'è dato,
poi che non c'è vertù, ch'era suo segno.
Lasso! A che dicer vegno?
Dico che bel disdegnosarebbe in donna, di ragion laudato,
partir beltà da sé per suo commiato.
Strofe seconda. L'uomo ha allontanato da sé la virtù. È diventato non più uomo, ma una mala bestia. Quale meraviglia che sia voluto ricadere da signore di se stesso in servo del male, cioè dalla vita dell'anima nella morte dell'anima! La virtù è soggezione costante a Dio che l'ha fatta, tanto che l'Amore della Sapienza (che dirige la virtù) considera la virtù come facente parte della sua famiglia nella beata corte. La virtù esce lietamente dalle belle porte del cielo e tende a ritornare verso la Sapienza (la virtù operativa è mossa dalla Sapienza e ha per termine la Sapienza stessa - Beatrice moverà il viaggio di Dante che avrà per scopo di tornare a lei). La virtù discesa dal cielo lietamente rimane in terra operando nell'assoluta soggezione alla divina Sapienza (lietamente ovra suo gran vassallaggio). E la virtù non si cura della morte (dell'errore, dottrina corrotta). O virtù, cara e pura ancella della Sapienza, tu sola dai all'uomo la vera signoria e tu stessa sei possesso che sempre giova.
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